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Le Cinque Terre descritte da Ettore Cozzani nel suo “ Il Regno Perduto” (1928)

(Vernazza , 28 Agosto 2017)

 

Oggi vale veramente la pena raccontare che cosa erano le Cinque Terre agli inizi del novecento. Serve a noi che qui siamo nati e vi abitiamo ancora,  serve ai nostri ospiti, serve a chi ci ha iniziato un’attivitá , a chi ci viene a lavorare o ad abitare, serve ai nostri giovani per capire che importanza ha, per questo territorio,  la parola “rispetto”.

Il “ rispetto” per la fatica dei nostri vecchi , uomini e donne, che con le schiene curve dai pesi, come racconta Ettore Cozzani,  hanno scavato la roccia per costruirvi le case e per strappare alla montagna ed alla vertigine del dirupo,  appesi alle corde come i minatori di Carrara, le piane orlate di muretti a secco, per impiantarvi la vigna.

“ I cinque paesi tranne Corniglia , la bella, che si è distesa tutta aerea e soleggiata sull’altura, si sono annidati ciascuno alla foce del suo torrente, incrostandone di case le sponde: le case vi sono germogliate l’una dall’altra, l’una sull’altra , l’una dentro l’altra . A Riomaggiore formano un labirinto in cui non si capisce bene dove finisca il di fuori , e cominci il di dentro, e dove siano le soglie e dove i tetti, e dove i muri maestri e le fondamenta. A Vernazza si sono allineate sopra le due rive, come i soldati in piazza d’armi quando si gettano, con uno scatto del capo, il loro « ’no-due,’no-due » ; ma ogni riga s’appoggia con archi, come con braccia tese, alle schiene della riga che ha davanti, per non crollarle in testa. A Monterosso sbucano improvvise dalla valle incassata tra i monti, e si allargano a ventaglio sopra la Spiaggia. A Manarola, germinata come i licheni sulla più dura e percossa roccia, han preso a salire con amor del sole sopra il dosso, e vi hanno spiegata la loro chiara processione in mezzo a cui il campanile pare il grande Cristo in mezzo al corteo dei fedeli.

Fino a cinquant’anni fa, questa gente non aveva strade che in mare; aspettando, per prendere il balzo dagli agguati dei porticcioli, la bonaccia fra libecciata e libecciata, andava in cerca di fortuna con le tartane cariche di vini o di pietre; e chi non aveva un porto si è scavato nella rupe un curioso ancoraggio, un largo piano inclinato per cui le barche sono alzate a forza d’ àrgano, e rimangono poi lì, pèndule ai cavi, sempre in attesa d’esser varate di nuovo.

Ma adesso la strada ferrata ha aperto uno sbocco tra l’una e l’altra terra: il treno fora alla base i promontòri,  romba a lungo dentro abissi neri, in cui di tanto in tanto si spalancano e richiudono come palpebre finestre di mare azzurro che schiuma contro rupi dorate; sfocia poi d’improvviso sulla aperta marina, per rintanarsi con un fischio adirato nel ventre della montagna, e riesce e rientra, fra la raggiante libertà dell’aria e il fosco affanno dei cunicoli; e non si ferma che per un istante alle piccole stazioni aggrappate, come i gatti con le unghie, alla scogliera.

Non vede i cinque paeselli i quali non mostrano che qualche lembo fugace: nè sa dove sieno i bei Perdoni alti sulle cime: Montenero, Oleastra, S. Bernardino, Reggio, Soviore. Nè conosce, o non ha tempo di scorgere, sulla precipite marina, le tracce della vita eroica d'un popolo il quale, non avendo che un po’ di acqua amara, e un po’ di roccia nuda ha saputo di generazione in generazione rompere col piccone la costa ; e lavorando sulla faccia del dirupo , appeso alle sue gomène sopra l’abisso in fondo a cui soffiano le onde - come i minatori di Carrara contro la parete e sopra le frane e i laghi di candore - ha scavato nel masso i piccoli ripiani, li ha orlati di muretti a secco e vi ha piantato la vigna”.

Le Cinque Terre  descritte da Ettore Cozzani nel suo “ Il Regno Perduto” (1928)
Le Cinque Terre descritte da Ettore Cozzani nel suo “ Il Regno Perduto” (1928)
 
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